Farsi bastare un fiume





A lei piace camminare in queste giornate che sono a metà tra una primavera che fa la preziosa e la coda di un inverno stanco.
Appena può se ne esce all’aria aperta che sa di profumi appena nati, mescolati ad un po’ di diesel, benzina e metano, più gli olezzi del vivere, in cerca di percorsi assolati e verdi.
Ha bisogno di sentire canti e cinguettii, rumore d’acqua, se possibile, al posto del vociare umano.
Il fiume è il suo rifugio peccatorum, il luogo in cui sa che può ritrovare tutto ciò di cui necessita e che ha radici interiori. Le manca il suo mare, blu, vivo, in movimento. Ha dovuto farsi bastare un fiume che però nel tempo ha imparato ad amare perché è stato lui a conquistarla biecamente.
Ogni volta che sbuca da quella curva gli si offre davanti, potente.
Si sofferma spesso in estasi davanti a quello scorcio mozzafiato, senza trovare le parole per dirlo, solo per farselo entrare dentro dagli occhi immaginandosi di essere nutrita da quella meraviglia naturale.
Il colore dell’acqua è sempre diverso, dipende dalla luce, dal suo umore.
Anche il colore delle foglie degli alberi vira dal verde scuro all’argento ed è un quadro sempre bellissimo che le si presenta davanti, fregandola ogni volta che pensa di trovare un paesaggio cupo, quando fa brutto.
Ogni tanto ha immaginato a quanto dolore hanno visto quelle sponde e a quanto sangue hanno lavato quelle acque. Narrano che durante la Battaglia del Solstizio il fiume era rosso ma una piena costrinse l’esercito austro-ungarico a ripiegare. Esso mormorò allo straniero che non poteva passare e così fu.
Anche per questo è un luogo sacro e non solo un semplice scorrere dai monti fino a valle.
Lo scricchiolio del breccino sotto le suole spesso scandisce il tempo ma qui lei non lo perde, nobilita il suo passare e si fida del giorno e del suo svolgersi piano fino ad arrivare a un tramonto rossastro tra le fronde, che pare donare calore a quel verde che, addolcito, crede di lasciare il posto ad una sera tiepida.
Ogni tanto trova altra gente che cammina e viene spontaneo un saluto, ciò che non viene naturale a qualche centinaio di metri da quel luogo incantato.
E questo la fa pensare. Le nostre fragilità in realtà sono ispessimenti, qualcosa che si frappone tra ciò che saremmo e ciò che ci fanno diventare gli eventi della nostra vita.
Apponiamo strato su strato irrigidendoci, facendo fatica a bucare corazze, non facendo passare nemmeno l'aria, figuriamoci le persone.
Forse la differenza la fanno i luoghi, che ingentiliscono o incattiviscono, rendono sereni o indifferenti.
Ma sono solo pensieri per chi pensa.

Foto di VirtualZ