A chi mamma lo è



Le madri sono il simbolo della vita per eccellenza.
Ogni donna è un possibile contenitore di anime pronte a nascere, il tramite per venire al mondo.
Questo dono ha un potere immenso eppure alle volte ne viene trascurato il significato profondo.
È un miracolo, l’unico miracolo di cui siamo capaci noi umani.
Dare la vita.
Eppure, si perde nella scontatezza del farsi una famigliola carina e felice.
Figli due, grazie. Un maschietto ed una femminuccia.
Giusto per avere la coppia.

Ma fare la madre è diventato un lavoro, da incastrare all’interno delle attività giornaliere multitasking ed eclettiche di cui noi donne ci carichiamo, come solo noi sappiamo fare.
Fare la madre è da provare.
È faticoso, stancante, sfibrante, totalizzante.
È anche appagante.
Quell’appagamento fatto di piccole chicche quotidiane, quando il frutto del tuo operato di educatrice amorosa si vede, segno che il tuo lavoro è stato recepito nel migliore dei modi.
Non sempre va così bene a tutte, c’è da dire.
Questione di culo, mi sento di aggiungere con cognizione di causa.
Specie se, crescendo, quella piccola creatura che hai generato sembra essere tutto all’infuori che parte di te, sfatando il noto proverbio “la mela non cade mai lontana dall’albero”.
Ho sempre pensato che la mia, non solo non fosse mela, ma che fosse un mango rotolato a valle.
E qui mi è venuto incontro solo il mio essere madre, quella condizione per cui la tua essenza di donna si è trasformata negli anni.
Dalla pancia ai suoi ventun’anni.
Trasmutando completamente ogni mia cellula, facendomi superare ogni deviazione di percorso, ogni delusione, ogni smarrimento.
Trovando forze che non credevo di possedere per crescere insieme a lei, che non è mai stata una figlia facile, ho capito molte cose.

Ho capito che alle volte ci si deve spogliare della propria veste di madre, lasciare i vestiti sul pavimento e tornare ad essere una persona che cerca di entrare in empatia con un’altra.
Il tutto è molto complesso perché chi ha voluto venire al mondo attraverso te, e non un’altra, capita che possa essere un mondo completamente diverso dal tuo.

Entrare in empatia con chi non ti fa entrare per carattere richiede estrema ricercatezza.
Diventerai una speleologa in cerca di anfratti, gallerie, grotte, sotterranei.
Perché di questo si tratta quando vuoi trovare un passaggio per insinuarti senza voler fare male.
Ed è qui che il tuo essere madre prevale sul tuo fare la madre.
Lo sarai a prescindere dal risultato ottenuto, lo sarai e basta.
Non ci saranno voti che tengano, diplomi, attestati.
Lo sarai anche se ti deluderà, fino alla fine dei tuoi giorni, mai dei suoi.

Tempo fa le dedicai queste parole.
“Cosa posso insegnarti ragazza mia? Posso insegnarti a distinguere i colori, ma non il rosso dal giallo, i colori nelle loro infinite sfumature, dal cremisi all’indaco, passando per il terra di siena bruciata. Posso insegnarti ad ombreggiare un disegno, a rendere rotondi i volumi, farti vedere che con una sola linea puoi dare anche profondità a un tratto. Posso insegnarti ad impastare il pane, a sentire le farine con le mani, a fare marmellate senza addensanti, a fare un risotto al Barolo, una torta, un supplì. Posso insegnarti a ballare, passi di danza, passi di salsa, passi di tango, passi di rumba, oppure altri passi.
Ma, potrò mai insegnarti un’emozione? Potrò mai farti accapponare la pelle davanti a un quadro? Potrò mai estrapolarti la grazia, evitarti gli errori, spianarti la strada, farti trasformare la rabbia in azioni positive, farti vedere quello che sei, iniettarti coraggio, lenirti un dolore, selezionarti i pensieri, strapparti il sorriso, distoglierti dai circoli viziosi, venirti a riprendere dentro la tana, renderti onesta, farti sincera?
Quello che penserai e quello che farai sarà ciò che farà accadere o meno le cose che vorrai, ragazza mia.”

Ho capito col tempo, che a fare la madre non sono mai stata brava, ma so che lo sono con tutta me stessa.
Buona festa della mamma a chi mamma, lo è.