Vola, Amélie



Amélie provava i passi del suo balletto nel grande tendone semivuoto.
Intorno a lei solo balle di fieno, qualche oggetto di un giocoliere disordinato e quel puzzo che avrebbe riconosciuto anche se l’avessero portata dentro bendata e ignara.
La gonna era troppo lunga, le balze le davano noia, le gambe facevano a botte col taffetà.
Doveva assolutamente andare dalla sarta a farsi sistemare il vestito di scena.
Quella mattina il Signor Armand non si era visto per niente.
Le sue serate dopo lo spettacolo erano quasi sempre all’insegna del buon Cognac d’annata, e gli effetti si vedevano l’indomani, quando il suo caratteraccio si mischiava all’alito tremebondo che avrebbe ucciso uno dei suoi leoni spelacchiati.
Si mise il suo bellissimo scialle color lillà e uscì con Zéphir, il suo fedele compagno di avventure.
La sarta era alla fine del paese e per arrivarci si doveva camminare un po’.
Improvvisò un minuetto tra le pozzanghere e il marciapiede, quella mattina era anche postuma di pioggia ma ora aveva lasciato posto a un vento impertinente che si prendeva gioco della sua gonna da accorciare, orlare, modellare.
E così danzando, tra gli specchi d’acqua ferma e i dislivelli, insieme a un zefiro danzante di vento e di peluria arruffata, le ritornò il sorriso.
Tutto era musica, perfino le folate energiche che sibilavano tra le fessure delle case emettevano una melodia per cui non si poteva stare fermi.
Ella si piegava seguendo la direzione di Eolo, che pareva soffiare da lassù con una grande bocca ad O.
Zéphir traballava, saltellava, roteava e a tratti volava via.
Si piegavano persino i lampioni che parevano canne gettate in un laghetto pieno di pesci.
Dalla sarta non arrivò mai.
Prese una lampione per una lenza e lo cavalcò sospinta tra le note di Wagner.
Il vestito andava benissimo com’era, svolazzante di taffetà rosso come l’amore.
Un perfetto paracadute, adatto a quello che sognava da sempre di fare.
Volare.


Illustrazione di Vladimir Fedotko, Il circo ambulante.