Interno 4



Non sognava mai così nitidamente, tutto si confondeva non appena apriva gli occhi nel mondo. Quella mattina si svegliò turbato perché il sogno era talmente vivo da sembrare vero e le sensazioni talmente nette che era andato ad aprire la porta per guardare il nome sul campanello della porta di fronte.
Purtroppo campeggiava ancora Erminia Rossi, quella megera della vicina.
Rientrò deluso e si fece il caffè cercando di riacchiappare le ultime immagini.
Voleva mettere insieme i pezzi, rivivere le emozioni in cui si era trovato. Era da così tanto tempo che non ne aveva che si era davvero dimenticato quello stato di felicità sottile, come di leggera euforia.
Era ancora tutto lì, nei suoi occhi.

L’aveva incontrata al bar sotto casa, per caso, pensava.
Un piccolo tuffo al cuore, non se lo aspettava. Sia l’incontro che il tuffo.
Era ancora molto bella nonostante gli anni fossero passati e qualche filo d’argento, qualche segno del tempo, fossero intervenuti, però le avevano dato corposità.
Un Barolo d’annata, non per tutti.
La trovava più naturale, meno intenta a piacere, più sicura.
E tutto questo, nel lasso di tempo di qualche secondo, quello che intercorre tra i pensieri e l’azione, gli era piaciuto molto.
Lei gli fece un sorriso, aperto, mostrando i denti, uno di quelli che si ricordava ancora.
Non ne aveva più visti così. Si abbracciarono per un attimo.
Come stai.
Bene, tu sei bellissima.
Anche tu.
Cosa fai da queste parti.
Ho preso casa qui, sopra il bar.
Ci abito anch’io sopra il bar.
Interno 4.
Io interno 5.
Siamo vicini.
Siamo dirimpettai.
Mi batteva forte il cuore ma per fortuna non si vedeva, ero troppo impegnato a darmi il solito contegno, quello che ho indossato per più di mezzo secolo.
Lei pareva tranquilla, forse un po’ stupita.
Mi fece un sacco di domande, ora sì che la riconoscevo. Risposi a tutto e poi m’inventai un appuntamento urgente e me ne andai.
Ci vediamo allora.
Credo proprio di sì.
Pagai anche il suo caffè e presi la macchina posteggiata di fronte, in realtà non avevo nessun appuntamento, nessuna meta.
Girai per il mare, chissà che bello a quell’ora, non ci sarebbe stato nessuno.
Avevo bisogno di pensare alle emozioni che provavo. Caspita se erano fastidiose stavolta, mi sentivo un ragazzino invece ero un uomo maturo e pure stupido.
Proprio un cretino.
Non ho mai saputo dare niente a nessuno in fatto di cuore, non ce lo mettevo proprio.
Cominciavo relazioni col botto che finivano in noia mortale, non volevo legami, non volevo routine.
Non volevo volere.
Il tutto per tanto, tantissimo tempo della mia vita, fino a che non mi sono trovato solo a quasi 60 anni, in un appartamento arredato benissimo e vuoto.
Sentivo ad un tratto tutta quell’assenza, riempita solo dei miei movimenti. In cucina mentre preparavo pranzi tristi, in bagno, in camera da letto.
Nessuna forma di vita, nemmeno una pianta.
L’unico ero io ma non ero più nemmeno sicuro di essere una forma di vita.
Di Anna mi ero innamorato subito, come non potevo, era bellissima.
Era anche una donna effervescente, un’artista, colta e soprattutto molto intelligente.
Non so come abbia fatto lei ad amare me per tanti anni con quello che le davo, cioè niente.
Niente di me intendo, tutto il resto sapevo ben darlo. Ero un uomo all’antica insomma, compensavo le mie mancanze di essere umano con altro, che pensavo potesse bastare.
Ma a lei non bastò.
Fu l’unica donna a volermi lasciare, io con lei avrei continuato, mi dava tutto quello che desideravo e, per quello che non volevo lei mi desse, mi lasciò.
Ovviamente, al momento la presi benissimo, mi consolai subito con un altro amorazzo estivo.
E' accavallando le emozioni che ti anestetizzi.
Ho vissuto così per anni, fino a che sono diventato troppo maturo anche per quello.
Tutto finisce, prima o poi.
Anna, mia vicina di casa, mia dirimpettaia.
Come si fa, come farò.
E se avessi ancora una possibilità che farei?
E se sei in fondo non avesse mai smesso di amarmi?
Non so nemmeno se vive sola, al posto dell’Erminia Rossi, oppure no.

Le immagini si interrompevano lì, con le domande appese sul filo ad asciugare.
Il caffè era finito.
La casa era vuota e non c’era nemmeno il sole quella mattina ad illuminarla un po’.
Trovai il numero di Anna in una vecchia rubrica di un telefono datato e messo in un cassetto, chissà se apparteneva ancora a lei.
Saranno passati dieci anni dall’ultima volta che ci eravamo sentiti.
Chiamai.
Nessuna risposta.
Scrissi un messaggio.
“Ciao Anna, solo ciao.
Antonio”
Non ero riuscito a scrivere altro, non cambierò mai, forse.

Pochi minuti dopo il telefono squillò.