Dammi un bacio


-Dammi un bacio!
-Solo uno?
E mentre cercava di darglielo lui si nascondeva ridendo sotto le coperte colorate, il gioco di ogni sera. Lei doveva far finta di non riuscire a stanarlo.
Dopo una lunga serie di tentativi gli faceva credere di avere vinto, lui raggiante se ne usciva da sotto le coperte paonazzo e scapigliato e le saltava al collo. Era l'abbraccio più tenero della giornata, la perfetta chiusura di un cerchio imperfetto in cui solo quel momento valeva tutta la fatica di ogni santo giorno.
Ce la faremo anche domani, si ripeteva ogni sera mentre si pettinava. Lo specchio riportava un volto stanco e smagrito,  invecchiato in poco tempo dopo la perdita di Giacomo.
Una vecchia giovane donna e madre che si era rimboccata le maniche per non far mancare nulla alla sua creatura.
Era passato solo poco più di un anno e già le mancavano le forze, diciamo che ricominciare da un lutto era stato devastante.  Ricomporsi appena psicologicamente per poi ributtarsi nel mondo del lavoro a tempo pieno e con un bambino di 5 anni. Aveva scavato nel fondo dei fondi possibili delle sue risorse umane, di moglie e di madre.
Sicuramente il traino ce l’aveva nell’altra stanza che dormiva, si era detta mille volte che se non ci fosse stato lui, non so.
Giacomo era buono.
Buono e generoso, generoso in tutto.
Era l’uomo che avrebbe sempre voluto.
Si erano incontrati ai tempi dell’Università, l’ultimo anno. Anno in cui sei impegnato a portare a termine in fretta i tuoi doveri da studente per poi iniziare la tesi, infatti Lisa non usciva quasi mai e le poche occasioni le riservava alle “davvero occasioni”.
Ma era il compleanno di Laura, una delle sue migliori amiche , non poteva mancare e ci andò.
Giacomo era stato invitato da un amico di un amico di un amico, risalire a chi l’aveva invitato era risultato impossibile. Era stato uno dei motivi per cui avevano attaccato discorso fin da subito e poi, dimenticandosi un po’ di tutti, erano rimasti a parlare per ore seduti fuori in giardino, a casa di Laura.
Le cose nascono se devono nascere e quella doveva evidentemente, doveva e doveva dare dei frutti.
Si laurearono di lì a un anno tutti e due, avevano troppa fretta di trovare un lavoro per andare a convivere e cominciare un nuovo percorso insieme.
Erano felicissimi, trovarono un piccolo appartamento arredato, tanto per cominciare. Detestavano i mobili dell’appartamento, freddi, senz’anima.
Solo l’amore che provavano aveva potuto scaldare quel buco.
Due giovani vite innamorate, nulla fa più buon odore.
Un giorno Giacomo ricevette un pacchettino in ufficio.
Era piccolo e non c’era mittente.
Molto ben confezionato, mani di donna conosciute.
Già si sentiva in colpa anche se non aveva fatto niente.
Lo aprì e dentro c’era un test di gravidanza positivo.
Capì subito e si precipitò al telefono, la voce di Lisa era diversa, più calda, più avvolgente, diversa.
O era lui che se la immaginava speciale, in fondo lo era.
Era la voce della madre del suo futuro bambino. Piansero insieme emozionati al telefono e decisero tra le altre cose di sposarsi.
Nacque Riccardo, 3460 grammi, 52 centimetri.
Riccardo che ora dormiva nella sua cameretta, Riccardo che non aveva fatto niente a nessuno per essere privato di un padre che lo amava.
Quella maledetta sera Giacomo non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi lì.
Sostituiva un collega ingegnere infortunato.
Supervisionò il lavoro fatto dagli operai, pareva tutto a posto.
All’ultimo piano dell’impalcatura mise un piede dove non doveva, stavano facendo un lucernario.
Precipitò nel vuoto cadendo, molto più sotto.
Lisa in quel preciso istante sentì una certa inquietudine farsi pressante, non poteva sapere il motivo del malessere. Solo dopo seppe collegare che il senso di nausea e l’ansia improvvisa erano collegate ad un filo che si stava spezzando a sua insaputa.
Riccardo dormiva, era passato un lungo anno e lui dormiva.
Lei invece coi suoi pensieri ricorrenti era ancora là.
Come gliel’avrebbe detto che il suo papà era volato in cielo? Avrebbe scomodato gli angeli? Avrebbe parlato di Dio? Come parlare ad un bimbo di 5 anni di queste cose?
Aveva bisogno di aiuto,  si sentiva fluttuante, questo era il termine che avrebbe riferito se qualcuno avesse pensato di chiederle in quel momento “ come stai?”.
Era fluttuante, un’altalena di pensieri, una maceria umana fatta a donna scarna e con i lividi nel cuore.
Ma Riccardo era la cosa più bella che sarebbe mai potuto succederle, voleva annusarlo in un abbraccio morbido in cui si sentiva che avrebbe trattenuto un pianto. Voleva accarezzargli i capelli cullandolo un po’, aveva bisogno dei suoi occhioni grandi di figlio e dei suoi discorsi strampalati che seguono logiche bambine alle volte geniali.
Ritrovo di figlio, ritrovo di mamma.
Uno degli ultimi discorsi fu difficile.
“Mamma, sei stanca”
“No amore, solo un pochino…tu come stai amore mio?”
“Sono triste mamma, solo un pochino poi passa, ora che sei qui va meglio.
Mamma, anche le persone come gli alberi hanno gli anelli dentro per contare la loro età?”
“No amore, noi contiamo i giorni dalla nascita, lo sai che facciamo festa ogni anno da quando sei nato”
“ Sì, anche se ora non mi piace come prima compiere gli anni”
Fu come un pugno nello stomaco.
Gli parlò delle belle cose che lo aspettavano, della vita che a volte riservava del dolore ma anche tante cose belle, della fortuna che aveva ad avere i nonni, gli amici, i cuginetti, la scuola, le maestre.
Avesse potuto raccontargli la storia dell’orso l’avrebbe fatto, sapeva che stava solo cercando di metterci un cerotto sopra, sapeva benissimo tutto.
Benediceva i momenti in cui riusciva a ricondurlo in un punto neutro in cui si ritrovava un po’ ed in cui pareva tranquillizzarsi.
Il mattino dopo si svegliò presto come sempre per andare al lavoro e portarlo a scuola, pioveva.
Attraversarono di corsa il cortile per andare alla macchina ma Riccardo si fermò di colpo e cambiò direzione verso un cassonetto delle immondizie, aveva sentito un miagolio.
Lisa lo seguì, aveva sentito anche lei. Superò lo schifo di dover aprire quel contenitore olezzante e vi trovò un cucciolo di gatto, bagnato e già puzzolente.
Lo prese subito, Riccardo era eccitatissimo gli brillavano gli occhi.
“Mamma! Lo teniamo vero? Dimmi che è nostro!”
Lisa, adorava gli animali era cresciuta tra gatti e cani, non l’avrebbe mai lasciato al suo destino.
“Certo che lo teniamo!...ora preparati che andiamo dal veterinario, io mi prendo un giorno dal lavoro e tu oggi non vai a scuola. Dobbiamo sistemare questo cucciolo.”
Raggiante, Riccardo le trotterellò dietro come una lepre.
Veterinario, negozio di animali, pappe, lettiere, giochi e cucce.
Arrivò Leonida, detto Leo, in casa. Un cucciolo tutto nero  e dispettoso che diventò pappa e ciccia con Riccardo.
Dormivano insieme, giocavano.
Leo aveva una sensibilità particolare nei confronti di Riccardo, a volte gli si piazzava a pochi centimetri mentre faceva i compiti o giocava e stava lì, come un guardiano, senza far nulla se non osservarlo o dormicchiare pacifico.
Da quando era arrivato Leo Riccardo era un altro.
E Lisa cominciò a rifiatare, a levare un peso dal cuore, a sedare i pensieri, a godersi la vista di un figlio sereno.
Le cose accadono quando devono accadere, non un minuto prima, non un minuto dopo.
Accadono e vanno accolte, attraversate se brutte, godute se belle.
L’amore aggiusta sempre ogni cosa, lei lo sapeva in fondo al cuore.
E’ che se l’era dimenticato.