E dàghela ben


Sono capitata, per congiunzione astrale, ad una festa nel cuore della campagna mantovana, in una di quelle corti col mulino appena restaurate di fresco, anche se solo in parte, dalla mia amica Emanuela sorella d'anima da molte vite.
I proprietari della corte hanno ben pensato di invitare tutto il paese a questo evento. Dapprima dunque s'è fatta una messa seguita poi da una processione dalle note calanti di una banda che non stava al passo e che ho seguito da lontano. 
A seguire il desco, forme di grana padano aperte in due e servite col miele di casata come antipasto sfizioso. Nel frattempo si vedevano uomini e donne rimestare nei pentoloni d'alluminio i risotti alle salamelle e i bigoli fatti in casa. Lambrusco frizzantino a fiumi, gruppo musicale che intonava canti popolari.
Sembravamo catapultati nel dopoguerra, in cui si aveva solo voglia di cantare e di gioire.
Dàghela ben biondina dàghela ben biondà.
Potevano mancare i fuochi che il Pinelli generosamente ha sparato dal bosco circostante? Sia mai.
E dàghela di mortaretti preceduti e finiti dalla bombarda, che ha fatto venire un colpo a più di un cuore debole.
Alla sbrisolona generosamente irrorata con la grappa si sfoggiava tutti un sorriso a doppia fila di denti.
Di quel che c'era non mancava nulla. Perfino le zaffate di letame sparato nei campi nell'aere. Tutto pagato. Chi voleva metteva una libera offerta.
Al caffè irlandese pensavo di vedere la Madonna. I santi del Paradiso erano tutti là a brindare con noi, e dàghela ben biondina dàghela ben biondà. Sicuramente in quest'atmosfera anacronistica a cui non siamo più abituati, ho visto, finalmente dopo tanto, più cellulite che cellulari. Pienezza. Brava gente in festa dall'aria rubizza e buona, che ama la terra dov'è nata e che cerca di salvaguardare un pezzo di storia dei Gonzaga che gli appartiene.
E questa cosa genuina che sa di pane caldo e tastasàl mi ha quasi commossa.
Dimensioni dimenticate, riemerse in una serata stellata d'agosto.