L'omino buffo dei sogni



C’era una volta in un paese lontano lontano un buffo omino strampalato.
Vestiva tutto colorato, camminava saltellando come se la gioia lo possedesse in ogni istante.
Nessuno aveva idea da che famiglia venisse e chi fosse suo padre o sua madre.
Era come se fosse sbucato dal nulla.
Abitava in una casa buffa come lui, anch’essa colorata e piena di fiori che coltivava con estrema cura.
Proprio per questa sua stranezza la gente viveva tra la curiosità e il distacco.
Gli dava del matto, un matto buono.
Ogni bambino era attratto dal suo incedere e dal suo sorriso, strattonavano le mamme per inseguirlo quando passava per il paese, “ Mamma! Posso avvicinarmi solo un pochettino?”.
Ogni mamma strattonava il bambino a sua volta per ricondurlo a sé “ No! Non vedi com’è strano? Meglio guardarlo da lontano!”.
Lui sorrideva e s’inchinava cerimonioso, si toglieva il cappello e lo lanciava nel cielo riprendendolo sempre.
Sembrava indifferente all’indifferenza altrui.
La felicità sgorgava o forse era solo follia ma nessuno poteva saperlo.
Emily era una ragazzina ostinata e contraria, difficile da domare, allergica ai divieti, curiosa come una puzzola.
Da tempo osservava l’omino, ogni tanto l’aveva seguito senza farsi scorgere fino a casa, infilandosi dentro le siepi per non farsi scoprire.
Trotterellava allegro con la spesa in mano, alle volte cantava un motivetto d’amore, altre recitava versi di poesie mai sentite. Spesso parlava con gli animali e loro con lui, almeno così sembrava.
Un giorno si fece coraggio e contravvenendo ad ogni divieto impostogli dai genitori si avvicinò all’omino.
“Ciao”
“Oh ciao bambina, come ti chiami?”
“ Mi chiamo Emily e tu?”
“Non lo so, come vorresti chiamarmi?”
“Ti chiamerei Willy, come Willy Wonka, quello della fabbrica di cioccolato. Ci somigli!”
“Oh bene, allora chiamami Willy. Mi piace!”
Cominciarono a chiacchierare come fossero vecchi amici, l’omino era davvero strano ma aveva gli occhi buoni buoni e lei non aveva paura.
Chissà perché gli adulti hanno paura di tutto si chiedeva stupita!
Fu così che andò a trovarlo tutti i giorni, lui le faceva vedere il suo giardino pieno di fiori e le offriva il tè con i biscotti fatti in casa sotto il portico.
Parlavano di tutto ma non si facevano mai domande fino a che, un giorno lei si decise a fargliene una.
“Perché sei sempre così felice, come fai?”
“Perché ho aperto tutti i cassetti e ho fatto uscire i miei sogni.
Potevo lasciarli dentro ma li sentivo morire, allora un giorno mi sono deciso e li ho liberati.
E’ stato bellissimo, da provare! Puoi farlo anche tu se vuoi”
“Ma io non ho un cassetto con i sogni!”
“Sì che ce l’hai. Tutti lo abbiamo. Pensaci bene.”
“…ora che ci penso ne ho un paio di sogni, ma sono cose che non si possono realizzare, quindi è inutile che li liberi.”
“Non esiste un sogno inutile, esistono i sogni in cui non si crede davvero. Dipende solo da te, solo da te. Questa sera apri il cassetto e dì loro che sono liberi, vedrai come voleranno via felici.
Coloreranno la tua stanza come fa l’arcobaleno dopo il temporale!”.
Quella sera Emily entro nella sua stanza come dovesse compiere un rito magico.
Si sedette sul letto ed aprì il suo cassetto.
Non successe nulla.
“Ecco, lo sapevo che era un uomo strampalato!”
Poi si ricordò che avrebbe dovuto dir loro che erano liberi e ci provò.
“Sogni, siete liberi! Andate!”
Sentì un rumore strano e subito dopo una luce colorata invase la sua stanza. I suoi sogni erano attaccati al soffitto che facevano festa, un’atmosfera di gioia riempiva la stanza e lei si sentiva felice e leggera come non lo era mai stata.
Si addormentò come in una favola e al suo risveglio l’arcobaleno se n’era andato con i suoi sogni ma la felicità era rimasta e anche la voglia di dirlo a tutto il mondo.
Si vestì e uscì di casa trotterellando.
Ad ogni persona che incontrava, vecchi, giovani, bambini e adulti, diceva quasi urlando “Aprite tutti i cassetti e fate uscire i sogni! Fatelo, altrimenti moriranno e voi con loro!”.
Agli occhi di tutti pareva impazzita ma la conoscevano bene in paese e si avvicinarono a lei per ascoltarla.
Gli raccontò di Willy, del suo cassetto magico, dell’arcobaleno sul soffitto e della felicità che l’aveva invasa.
La gente parlottava tra loro ma l’ascoltavano.
Doveva essere stata molto convincente.
Quando tutti tornarono nelle loro case cominciarono timidamente ad aprire i cassetti.
Si sentiva il rumore per la strada, a ripetizione, il cigolio che fa il legno arido e secco non appena si sfrega.
E poi vedeva un bagliore dalle finestre, come le luci di Natale.
Bagliori colorati e felicità, esclamazioni di gioia e silenzi.
Il paese era come immerso nella tavolozza di un pittore, si sentiva nell’aria un’energia di vita mai sentita prima.
Il giorno dopo tutti uscirono dalle case con vestiti colorati, parlavano tra loro, sorridevano ed erano gentili.
Un grande arcobaleno spuntava ogni sera al tramonto a salutare una giornata meravigliosa.
Da quel giorno nessuno più tenne i sogni in un cassetto, i sogni erano liberi di realizzarsi, liberi di compiersi o di cambiare rotta a seconda del destino.
Da quel giorno Willy diventò uno dei tanti omini colorati e strampalati, col sorriso tra le labbra che cantava canzoni e recitava versi, parlava con gli animali e loro con lui.
O così almeno sembrava.