Andare Oltre




Ero appena una ragazza e rimanevo affascinata dalle parole.
Ogni tipo di affabulatore, oratore, persona dotata di parlantina fluente e forbita su di me aveva più fascino che un grosso paio di bicipiti.
In particolar modo mi attraeva la complicazione mentale, i ragionamenti contorti che mi sembrava di capire o forse capivo, tutto ciò che mi dava la possibilità di ragionarci sopra.
Avrei dovuto studiare filosofia, altro che impantanarmi nella parassitologia.
Ma il passato è passato.
Le adorate parole espresse su carta o fatte volare nel vento sono state come i sassolini di Hansel e Gretel.
Le seguivo. Mi hanno sempre portato da qualche parte, come tutti i percorsi intrapresi.
Ci danzavo anche sopra.
A parte il relazionarsi con cervelli duttili e geniali dai quali uscivano concetti complicati, a volte astrusi, ma senza dubbio interessanti, mi hanno sempre colpito le persone che dicevano di andare Oltre.
Oltre.
Volevo sapere Oltre dov’era.
Quale luogo magico e ricco di mistero fosse mai.
Un luogo di cui non facevo parte, si vede.
Una terra magnifica, ricca di significati nascosti comprensibili a pochi eletti, le persone che vanno Oltre, appunto.
Col tempo ho scoperto che si arrivava Oltre dopo uno scambio di pensieri, ma non pensieri comuni, pensieri che scavalcavano il pensare banale, il pensiero medio e anche quello un po’ più complesso.
Chi va Oltre ha quel quid in più che non verrà mai spiegato, che non capirai mai, ma che c’è.
È un’aura, un’allure, un involucro energetico che circonda la persona, che sorride sorniona consapevole dell’immenso dono che possiede.
Io ho provato ad andare Oltre, mi ci sono proprio impegnata una volta.
Ho trovato una porticina dietro alle parole, di quelle un po’ scassate e piccine.
L’ho aperta sapendo che avrei potuto calpestare quella terra consacrata e accendermi l’aura come un’abat-jour, finalmente.
L’ho aperta e mi sono trovata in uno stanzone vuoto senza nemmeno una sedia, un quadro appeso, un bicchiere d’acqua, una finestra.
Niente.
Un parallelepipedo buio e desolato nel quale entravano a turno gli “Oltrenzisti”.
Rimanevano quel poco che serviva per mantenere il ruolo di chi era andato Oltre ma poi ritornavano dall’altra parte, mica ci restavano Oltre.
Specie se era ora di pranzo.
Me ne sono stata a guardare per un po’ e finalmente ho capito.
Oltre è il luogo in cui va chi ad un certo punto deve uscire di scena per poi rientrarvi.
È come un sipario che separa lo spettatore e l’attore.
Non si sa cosa ci sia sul palco.
È questa l’allure, l’aura, l’abat-jour.
Se lo si sapesse crollerebbe il palco.
Resto ancora sempre affascinata dalle parole e da chi sa giocarci in modo pulito, elegante e magistrale.
Ma da quel giorno, a chi mi dice di andare Oltre, ce lo mando con i doverosi e dovuti modi.