Impronte indelebili



Il vecchio leone è stanco di lottare, i suoi progetti sono diventati minimi e personali, non sono più rivolti al mondo e al far vedere agli altri le sue capacità.
Sono la consapevolezza di essere bravo e bastare a se stesso.
Gli ci sono voluti anni, decenni.
Da giovane era un fumantino, uno che appena ne aveva l’occasione arrivava alle mani, spesso alle maleparole anche con i suoi stessi soci. Più che soci compagni d’avventura.
Un gruppo scalcagnato di musicisti.
A dire il vero lui non era scalcagnato per niente, lui era la mente e pure il braccio, era pure l’idea, il guizzo, il genio, la proposta e quello che cacciava la grana.
Per questo gli altri dovevano stare zitti.
Muti e rassegnati se volevano sbarcare il lunario. E il lunario grazie alle idee, al guizzo, al genio, eccetera, si sbarcava sempre.
Che poi vuol dire riuscire ad arrivare in porto alla fine dell’anno. Lui di porti non ne conosceva, ma conosceva benissimo il modo di dire e sapeva cosa volesse dire arrivare almeno a fine mese, altro che a fine anno.
Avevano preso un ingaggio estivo niente male, il proprietario del locale, un certo Loris, li trattava decentemente. Aveva perfino dotato la band di roulotte quasi in riva al mare, presso il suo camping ripieno di crucchi sempre pieni di birra.
La convivenza con il resto della ciurma suonava un flebile giro di basso, insomma era piuttosto triste. Ma in senso umano proprio.
E’ che quei tre con cui si accompagnava non gli piacevano granchè. Erano tre posapiano. Senza iniziativa, pusillanimi.
Non li stimava per niente. E non c’è niente di peggio.
Ma doveva almeno finire la stagione per i suoi progetti futuri, stava scrivendo dei pezzi fenomenali e cercava dei musicisti di serie A, come lui. La ricerca non era facile e doveva attendere poiché tutti erano impegnati in quel periodo a fare una degna stagione, proprio come lui.
La cosa bella era che di notte sentiva il fragore del mare.
Questa cosa valeva tutto il sacrificio.
Il mare di notte, il suo rumore che accompagnava i pensieri a dormire.
A volte usciva a sedersi sulla battigia. A volte non era solo, qualche fan gli si appioppava a presso. Una di cui poi non si ricordava neppure il nome e che gli giurava amore eterno sulla sabbia, una delle tante.
Accovacciato, viso tra le mani, a guardare il buio illuminato solo dalla luna e dalle stelle.
Questi erano i momenti in cui mentalmente scriveva e poi riportava nero su bianco in roulotte.
Rovistando tra i ricordi provò mancanza di quei momenti in cui allora si sentiva in gabbia. Che strana la vita, pensò, potrai rimpiangere un periodo in cui ti saresti sparato e non lo sai che invece stavi solo lottando per te, per costruire qualcosa.
Erano momenti in cui la gioventù ancora premeva e non sapeva cosa l’aspettava.
Ora che l’età matura era arrivata si rendeva conto di quanto aveva seminato e di quanto stava raccogliendo.
I suoi progetti erano andati bene, riuscì ad ingaggiare tre bravissimi musicisti e buttare fuori quegli scalzacani che avevano fatto il loro tempo. Fece un album bellissimo che cominciò a scalare le vette delle classifiche italiane per poi sbarcare in Europa avendo il medesimo successo. Un trionfo.
Con la nuova band si sentiva invincibile, un musicista affermato con una band di tutto rispetto.
La sua fama crebbe e diventò ricco, i suoi sogni si erano avverati tutti.
Seguirono anni di concerti, album, tournée.
Anni in cui si dormiva poco e si lavorava tanto, anni indimenticabili in cui l’alcool la fece da padrone e pure la droga non mancò.
Continuava a guardarsi indietro per ripercorrere alcune magie ormai andate, si guardava indietro perché ormai in avanti c’era poco da guardare.
Da qualche anno era ammalato, i sessant’anni erano alle porte ma se ne sentiva cento.
Aspettava un fegato da un donatore, se l’era spappolato nel corso della carriera artistica.
Aveva avuto fegato nell’osare, si sentiva preso per il culo ora per essersi ammalato proprio lì. Con i soldi puoi comprare molto ma non puoi comprare tutto e lui era disposto a pagare per un fegato nuovo.
La macchina della ricerca si era messa in moto bastava solo attendere e resistere.
Quante volte aveva resistito? Un mare di volte, un oceano.
Cosa vuoi che sia un po’ di tempo per uno che non ne ha?
Il vecchio leone è stanco, non sa se ce la farà e per la prima volta il pensiero gli viene e lo mangia vivo.
Non ha nemmeno una famiglia su cui contare, non l’ha voluta, ha pensato solo a se stesso ed ora paga pegno, com’è giusto che sia.
Lo sa, ne è consapevole, come sente che morirà solo.
Senza lasciare nulla a nessun figlio ma sapendo di lasciare la sua musica al mondo, la sua orma.
Le sue impronte saranno indelebili, resteranno a chi canterà un suo testo, a chi suonerà un suo pezzo.
Sarà immortale.
E con questo pensiero diventa bello perfino morire.