Io non appartengo



Io non appartengo, non appartengo a nessun credo a nessuna verità ineluttabile, a nessuna setta, a nessun partito, a nessuna religione, a nessuna fede, a nessun filone di pensiero, a nessun regime.
Appartengo a tutto ciò che mi faccia pensare e aprire la mente, a tutto ciò che non mi rinchiuda in qualche circoletto da cui scappare a gambe levate.
Appartengo a pensieri che non hanno un colore ma che trovino  un senso per me, a una vita il più possibile priva di violenza a partire da come mi nutro a come agisco, a una visione scomoda in cui non do le colpe ad un Dio se le cose non vanno come le vorrei ma nemmeno osanno un Dio se miracolosamente vanno come dovrebbero andare.
Ringrazio l’universo che mi accoglie e me stessa se imparo dalle lezioni che mi vengono impartite.
Se non imparerò avrò altre vite per poterlo fare.
E se non sarà così pazienza, avrò fatto del mio meglio perché non sono venuta qui per fare del male.
Mi è stato detto che è comodo non credere in niente.
Credo invece  sia più facile credere in qualcosa, molto più facile aggrapparsi a chiunque, a qualunque totem o idea piuttosto che cercare di trovare del buono in tutto sentendolo dalla pancia, scartando ciò che non ti suona dentro.
C’è del buono in tutte le cose o quasi, a volte anche solo l’intento non andato a buon fine.
Allora se vogliamo trovare del brutto possiamo metterci comodi, il mondo è pieno di esempi di cattiveria e questa fa molto più clamore dei bei gesti che quotidianamente si compiono.
Le persone sono migliori di quello che ci vogliono far credere e spesso quello che mostra i denti ha solo paura, paura di non essere compreso. In questa moltitudine di sfaccettature possiamo decidere cosa salvare, possiamo affidarci all’istinto che non sbaglia mai ma che non ascoltiamo spesso.
Diciamo di fidarci degli altri quando non ci fidiamo nemmeno di noi, del nostro sentire.
Diciamo di saper amare quando per primi ci maltrattiamo o ci facciamo passare sopra e quel passare sopra ha spesso il nome dell’amore, anche se l’amore non vive di prevaricazioni.
Diciamo insomma tante cose ma le diciamo solo, come per convincerci, come per consolarci, come fanno i bambini quando hanno bisogno di gesti ripetuti cento volte per darsi sicurezza.