Il cibo di ogni giorno



Il dolore è il cibo di ogni giorno, se non è il proprio, è un dolore che arriva guardando immagini di bambini morti di gente uccisa, di catastrofi avvenute, di disperazione. Di cattiveria pura.
Non ci si abitua mai eppure pian piano ci iniettano un’anestesia nel braccio, un liquido che appiattisce le emozioni, le ottunde.
Sentirai, ma meno. Inarcherai il sopracciglio, la tua faccia farà una smorfia di disgusto o di dispiacere, ti sentirai per qualche secondo la paura addosso o franare la terra sotto ai piedi, poi tornerai a stirare scocciata o a leggere il tuo giornale passando allo sport, che unisce tutti in una fede che non ha nulla di religioso ma talvolta di blasfemo sì.
Tu non sai nemmeno cosa sia davvero la paura.
Conosci le paure per cui molti medici ci si sono fatti la casa con i tuoi soldi, hai paura della tua ombra ma non sai cosa voglia dire scappare dai cecchini. Hai paura di amare e ti fai venire delle malattie psicosomatiche, autoindotte, che farebbero sorridere un lebbroso a Calcutta.
Anche se lui sorride lo stesso, senza sapere nulla della tua vita comoda costellata di problemi diventati dei giganti, ciclopi con un occhio solo e cieco.
Siamo così prevedibili da far schifo, e non è uno schifo per come ci comportiamo ma per come non sentiamo più nulla. Una lobotomia serena.
Nessuno però è colpevole davvero, assolvo tutti.
La crudeltà umana verso qualsiasi forma vivente è un fatto assodato oramai, spesso camuffata da "altro".
Non è egoismo, non per tutti almeno, è proprio difficile pensare a tutto e a tutti non essendoci dentro.
Non siamo immersi nella sofferenza più atroce, noi no.
Ed è inutile prendersela con chi privilegia in quel momento un dolore ad un altro. Inutile indignarsi guardando le reazioni altrui e non puntando alle proprie, inutile pure non adattarsi al ritmo del Paese dove vivi. Il nostro ritmo è una taranta, saltellato e frenetico ma ha una fine sicura, un pavimento saldo e non franoso.
Ho letto da qualche parte una cosa che mi ha fatto pensare.
“L’Italia occupa lo 0,5% della Terra, e ci vive lo 0,83% dell’umanità.
Le condizioni bio climatiche sono uniche al mondo, permette alla penisola di essere la prima nazione al mondo per biodiversità:
7.000 differenti vegetali, segue il Brasile con 3.000;
58.000 specie di animali, segue la Cina con 20.000;
1.800 vitigni spontanei da uva, segue la Francia con 200;
997 tipi di mele, in tutto il mondo ne esistono 1.227;
140 tipi di grano, seguono gli USA con 6;L’Italia possiede il 70% del patrimonio artistico e umano, il rimanente 30% è sparso in tutto il resto del pianeta.”
Può un italiano, ovvero nemmeno l’un per cento del resto dell’umanità, non sentirsi un prescelto perché nato in uno dei posti più fortunati della Terra?
Possiamo ancora lamentarci all’infinito, ognuno con i suoi guai, ognuno con le sue ragioni anche valide.
Io però, quando sono nella merda, guarderei fuori dalla finestra, immaginando di varcare le catene montuose e i mari, arrivando in uno dei paesini più poveri e sperduti, dove il non avere niente è il non avere niente, dove avvengono le catastrofi più nere quasi fosse un accanimento su chi già non ha niente di niente.
E dove però stranamente un sorriso e un po’ di riso lo troverai sempre, anche per te che hai tutto e non lo sai.