La lettera che non arriverà



Elisa decise di non parlare più.
Dopo l’ennesimo litigio con i suoi, tutti i silenzi, le incomprensioni e i chiarimenti, le sembravano una montagna da scavalcare per andare oltre, alla scoperta di un nuovo territorio inesplorato.
Prese carta e penna per far arrivare l’inchiostro dalla pancia alla mano, passando per un cuore ferito. 
E scrisse.

“Non ci siamo mai capiti.
Alla fine è questo ciò che setacciando rimane tra le maglie dei perché. 
Mi basta pensare a quando ero piccola, a quando avevo ancora un bisogno fisico di voi ma voi non c’eravate.
Sì lo so, non c’eravate per motivi sicuramente validi, forse, ma non c’eravate. 
E voi lo sapete che ai bambini non gliene frega un cazzo dei motivi delle assenze. 
Le assenze per loro non sono mai abbastanza giustificate. 
Tu vorresti una presenza che non c’è e vai avanti aggrappandoti a chi ne fa le veci a modo suo.
Una nonna, una tata, un surrogato alle figure più importanti. 
Sono sicura che le mancanze si stratificano sopra altre mancanze, sopra altre incapacità e dolori. 
Non c’è una colpa, non si può puntare un dito quando forse era il caso di tendere una mano.
Tuttavia se andassimo troppo a ritroso nel tempo, per cercare le cause, il capostipite degli errori, apriremmo tombe di rancori e afflizioni che forse dovrebbero rimanere chiuse, sigillate per sempre.
Quindi cose che dovrebbero essere normali, tipo quella di andare a trovare i propri genitori non appena si può, oppure venire a trovare la propria figlia o i propri nipoti non appena si vuole, diventano cose difficili da gestire. Complicate per la lontananza, che non è tanto fatta di chilometri ma di tempistiche che occorrono per arrivare in due realtà così diverse da parere un altro mondo.
Un mondo fatto di distanze mentali.
Avrò sempre la “colpa eterna” di essermene andata, di non essere rimasta, del volo altrove.
Me ne sono andata via anch’io, solo, dopo.
Pago dunque le mie scelte ancora con l’assenza.
Poi la vita, si sa, traccia sentieri da prendere e li si prende, anche da soli a volte.
Sbagliando, cadendo, rialzandosi e sorridendo ancora, fosse solo perché il sorriso è solo prerogativa umana.
E una scelta.
Voi, pare abbiate avuto una vita talmente piena e complicata da non riuscire a fare un pezzo di strada insieme al vostro sangue. 
È così, succede.
Non abbiamo dei begli esempi in famiglia da generazioni.
Siamo stati sfortunati.
Potevamo fare meglio noi, insieme, non ne siamo stati capaci.
Nessun esempio di bellezza e bel carattere, tante doti mal riposte in persone aride o menefreghiste, intelligentissime eppure matte.
Quando si toglie piano piano poi si arriva all’osso e non c’è più nulla da togliere. 
Si resta nudi senza accorgersene, non c’è più niente nemmeno da dare, affettivamente e fisicamente.
Per questo e molto altro che c’è dentro e che esce vomitando a corrente alternata, vi ringrazio.
Ringrazio le vostre assenze, mancanze, incapacità.
Mi hanno portata stremata ma viva a fare cose grandi nel mio infinito piccolo mondo.
Mi hanno fatta crescere come un rampicante selvatico attaccandomi a tutto quello che trovavo, non sempre un buon supporto, ma scavalcando anch’esso per andare avanti.
Perché è avanti che si va.
Ieri non c’è più. 

Con tutto l’affetto che mi rimane.
Elisa”

Imbustò la lettera, ci appose un bel francobollo sentendo quel saporaccio dimenticato di colla in bocca e spedì.
Si accorse solo dopo qualche passo dalla buca delle lettere che si era dimenticata di metterci l’indirizzo.
Non sarebbe mai arrivata a destinazione.
Ma si ricordò in quel momento delle parole di una persona a lei cara.
Un giorno le disse che le parole scritte arrivano, non importa come, in che modo, ma arrivano. 
Arrivano anche se mai imbucate o recapitate, arrivano sempre.
E sorrise.