Agata



Aspettavo ed arrivavano sempre. Ero fortunata, o forse no, forse arrivavano per me.
Lo sapevano e arrivavano per me.
Ero a caccia di storie da una vita, fin da piccola annotavo tutto ciò che di bizzarro mi succedeva o anche di doloroso, bello, importante. E poi ci facevo una storia.
Ero diventata cintura nera di storielle da bambina, tanto che i miei amici mi chiedevano di raccontargliene un mucchio ed io li accontentavo, c’erano dentro anche loro in fondo.
Seduti  per terra con le ginocchia sbucciate e nere a forza di giocare c’era l’angolo della storia e pausa merenda, poi si rinforcava la bici e giù a pedalare fino al campo di grano del vicino.
Il breccino scricchiolava sotto le ruote e le giornate passavano come fossero attimi, ci si trovava a sera stanchi affamati come lupi, con un’altra storia in tasca.
Col passare degli anni non riuscii ad uscire di casa senza taccuino e penna, ogni spunto era appuntato, fotografavo tutto mentalmente e osservavo molto, tanto che facevo delle figuracce a volte ipnotizzandomi davanti a un volto che scoprivo più tardi guardarmi scocciato e con aria interrogativa. Mi scusavo imbarazzata ma intanto avevo carpito immagini e tracce utili.
Mi capitò di essere anche fraintesa e che scambiassero il mio guardare per avances, sia donne che uomini, per non saper né leggere né scrivere e non farci mancare nulla.
Un giorno durante il mio solito tragitto mattutino in corriera, incrociai lo sguardo di una vecchietta  e cominciai ad osservarla come da copione.
Poco dopo mi si avvicinò, aveva letto nel mio sguardo smarrimento e tristezza e mi chiese se avevo una famiglia e se avevo bisogno di qualcosa.
Dovetti spiegarle tutto e lei rimase incredula, sorpresa, e mi confidò che da sempre scriveva poesie di nascosto, poesie che non aveva mai fatto leggere a nessuno perché era vissuta in una casa di maschi poco inclini alle romanticherie.
Ultima di 5 fratelli quasi tutti militari, si sposò poi un colonnello di Fanteria.
Ormai era rimasta vedova e senza figli; non erano arrivati.
E continuava a scriverne.
Ero affascinata dal suo modo di parlare e dalla sua dolcezza.
La conversazione non finì sulla corriera perché la Signora m’invitò a casa sua a prendere un caffè ed io dopo il lavoro ci andai.
Abitava in una bella casetta in una zona poco frequentata e signorile, suonai il campanello un po’ titubante, quando ripensi alle cose che succedono ti chiedi se è giusto che succedano o che tu le faccia accadere.
Mi aprì con un sorriso amorevole e le mie domande svanirono.
Mi accomodai in salotto e lei andò a prendere in cucina il caffè con qualche dolcetto fatto in casa al profumo di vaniglia, ottimo. Bevemmo il caffè e ci raccontammo un po’ di noi e delle nostre vite, ma io ero affascinata dalla sua e le feci un milione di domande che per correttezza non trascrissi ma annotai mentalmente.
Poi lei tirò fuori un baule, lo aprì con gli occhi luccicanti, come se facesse vedere un tesoro.
In effetti lo era.
Una montagna di scritti, gli scritti di una vita, le sue poesie.
Ne prese una e me la lesse, era bella.
Ne prese un’altra e mi chiese di leggergliela, gliela lessi.
Cominciammo a rovistare insieme, tirando fuori i suoi tesori, sgorgarono ricordi e lacrime ed io piansi con lei. E poi ridemmo della nostro essere sciocche e ci prendemmo in giro quasi come nonna e nipote.
Fu un pomeriggio bellissimo.
Agata, diventò mia amica e ne seguirono altri di pomeriggi tra passeggiate e caffè.
Tra i più bei ricordi di lei conservo una sua poesia scritta per me dopo qualche mese dal nostro primo incontro.
La tengo come una reliquia, un dono del cielo.
Di questo cielo che mi ha dato tanto e che ora non c'è più.

Hai gli occhi di luce
che guardano vivi
e dentro un abisso
di cose perdute.
Sospese  nel tempo
ci siamo incontrate
ci siamo trovate
ci siamo abbracciate.

Con affetto
Agata