Stipsi di cuore



La gratitudine è una bella bestia dal manto soffice e caldo, lucente sotto i raggi del sole.
Si muove con quella grazia di chi è a posto con la coscienza,  di chi sa stare al mondo.
Se penso alle parole striminzite di chi non sa ringraziare penso immediatamente alla stitichezza d’animo.
Una stipsi di cuore, intasato da scorie che ostacolano lo sgorgare alla bocca.
Siamo stitici anche nel volerci trattenere per paura, per livore, per rabbia.
Il trattenere fa più male a chi trattiene, un argine eretto davanti alle emozioni di chi osserva invece che agire.
E con menti chiuse, appannate, ripiene di pensieri di dubbia circolazione, viviamo, nella maggior parte dei casi.
Scollegati dal cuore che sente preferiamo una mente che mente.
Osserviamo i bambini in cui tutto fluisce, in cui tutto è collegato in tratti più brevi, senza curve e deviazioni. Chi non si è mai trovato di fronte alle loro domande spiazzanti, ai loro ragionamenti semplici e che vanno al punto esatto in cui devono andare.
Chi non si è mai seduto per terra con loro a parlare rispolverando semplicità perdute si è perso davvero un’opportunità di crescita interiore.
Poi ci guastiamo col tempo e mettendo paletti, diplomazia, filtri, insicurezze, rimpianti, rancori.
Procediamo come elefanti in un negozio di cristalli, cercando di non rompere nulla e non riuscendoci, anziché uscire all’aria aperta.
Il nostro posto dovrebbe essere uno spazio aperto in cui poter dire senza essere attaccati, in cui se non c’è sempre un modo c’è la sostanza del pensiero, c’è l’emozione che passa di cuore in cuore.
E quella se hai un cuore chiuso in una gabbia, quella, non la puoi capire.